Riporto qualche nota della visita fatta al Castello Sforzesco e al relativo Museo, molto interessante e naturalmente sede del capolavoro di Michelangelo, la Pietà Rondanini.
Innanzitutto ho scoperto che il “nostro” Castello, così rappresentativo della città di Milano, alla fine dell’800 era in serio pericolo, in quanto il 90% dei milanesi voleva demolirlo perché a quel tempo per la popolazione rappresentava solo la caserma. È stato Luca Beltrami, architetto illuminato, che ribattezzandolo Castello Sforzesco lo rivalutò agli occhi dei Milanesi e ne curò poi l’indimenticabile restauro. Una curiosità: i “buchi” quadrati che lo costellano si chiamano buche pontaie e servivano per aggrappare i ponteggi in legno durante la costruzione.


Il Museo, per la verità piuttosto ignorato da noi Milanesi, è sede di una delle raccolte di sculture e oggetti d’arte tardo-antica, medievale e rinascimentale tra le più importanti del nord Italia che racchiudono tutta la storia di Milano e, naturalmente, è sede della Pietà Rondanini che da sola vale la visita.
All’interno le opere sono esposte in ordine cronologico e all’ingresso siamo accolti dalla maestosa Pusteria Urbica, un arco medievale prelevato direttamente dalla cinta delle Mura di Milano, in via Cesare Correnti.
Tralasciando di descrivere tutte le opere esposte, tra cui il Monumento sepolcrale di Bernabò Visconti con la sua grande statua equestre, segnalo una curiosità. Si tratta dei due bassorilievi del Babarossa e di sua moglie: l’Imperatore era così poco amato che la sua signora viene raffigurata come una prostituta nell’atto di radersi il pube, come era usanza per le professioniste di allora.
Proseguendo attraverso le sale si arriva alla Statua di Adamo con il capo rivolto a destra, che sembra guardare fuori dalla finestra per ammirare (si dice) il bellissimo loggiato del Bramante (vedi foto sotto).
Molto bella la Sala dei Ducali, in cui sono raffigurati tutti gli stemmi Ducali, rigorosamente con il biscione perché si credeva che nelle fauci ci fosse un Saracino. Cioè Cristianesimo che ‘ingolla’ il Saraceno.Sala dopo sala, si arriva così alla Pietà Rondanini, isolata e alla fine di uno scalone in discesa. La Pietà è separata da tutto perché non c’entra niente con Milano. In realtà un tempo questa opera era sottostimata, ma poi se ne comprese il grandissimo valore artistico. Nel 1952 il Comune di Milano decise che per rinfrancare lo spirito della città questa dovesse ospitare un’opera di Michelangelo, quasi per un riscatto post bellico, e fu così che il Comune acquistò l’opera dalla famiglia Rondanini.
Michelangelo scolpì la Pietà dopo gli 80 anni ed è la sua ultima opera, vi lavorò fino a pochi giorni prima di morire. La composizione colpisce per il suo assetto verticale e per questo è altamente innovativa e dimostra le capacità inventive dell’artista pur ottantenne. E’ fortissimo il legame corporeo ed emotivo che lega le due figure. Il piano iniziale di Michelangelo era diverso, in realtà la Madonna avrebbe dovuto guardare in alto, con una posa meno naturale e più teatrale, come si usava allora. In realtà in corso d’opera l’artista cambiò idea e scolpì il viso della Madonna nella stessa posizione di quello del Figlio, per rappresentare appunto l’unione nel dolore. Se ci si sposta verso destra si intravede chiaramente l’altra faccia della Madonna, quella del progetto iniziale, il che dimostra che Michelangelo lavorava direttamente sul marmo, senza bozzetti.
Chiedo scusa per le eventuali inesattezze e per la descrizione estremamente riduttiva del contenuto artistico, ma come sempre il mio obiettivo è di raccontarvi un’esperienza che per me è stata significativa e potrebbe essere di stimolo. Se ci andate scoprite tutto quello che c’è!